Sono connesso ad Internet dal lontano ottobre 1996. A quei tempi molti dei lettori di questo articolo o non erano nati o non avevano un computer in casa o ce l’avevano ma non conoscevano Internet. Talvolta ripenso a quei tempi e mi rattristo ancora di più quando torno a guardare la realtà, fatta di social networks e analfabeti funzionali. Zuckerberg ha creato Facebook nel 2004 in preda ad un’incazzatura storica per essere stato lasciato dalla fidanzata dell’epoca e ulteriormente amplificata da una sbronza epica. Il progetto, che sia stato rubato o meno ai gemelli Winklevoss come subornato dal film “The Social Network” di David Fincher, ha l’indiscusso merito di aver consentito alle persone di ritrovarsi dopo molto tempo e di restare (o tornare) in contatto pur risiedendo ai poli opposti del pianeta. Purtroppo, però, è principio pacificamente assodato che il semplice possesso di una Ferrari non si traduca automaticamente nel saperla guidare e – spesso – non basta avere una patente di guida per poterlo fare ma si dovrebbe realmente partecipare ad un corso di guida professionale. Ecco: Facebook è come la Ferrari a portata di mano di un qualsiasi individuo incapace di guidarla e padroneggiarla. Internet, quindi, ha dato voce ad una massa di persone che, a prescindere dal titolo di studio, non sono capaci di comprendere quali possano essere le ricadute nel “mondo reale” di un loro gesto nel “mondo virtuale” (orrida espressione!) e, dunque, incapaci di comprendere il nuovo principio di causalità digitale, ove ad un’azione in rete o nel reale corrisponde una reazione nel substrato opposto (quindi, rispettivamente, nel reale o in rete). Il ragionamento a seguire prende Facebook come esempio eclatante ma è perfettamente applicabile ai moderni mezzi di comunicazione e condivisione sociale come YouTube, Whatsapp, Telegram, WeChat, Line, Twitter, Google+. Alcuni anni fa Italia 1 trasmetteva un programma della Gialappa’s Band intitolato “Mai Dire TV” nel quale venivano montati spezzoni di programmi televisivi locali o esteri, tutti accomunati dalla bizzarria dei protagonisti e dal loro muoversi in contesti grotteschi, con evidentissimi risultati comici o – peggio – ridicoli. Come dimenticare il Mago Gabriel, sedicente medium e operatore dell’occulto? Volente o nolente, il sig. Salvatore Gulisano (nome reale del personaggio), a prescindere dal fatto che fosse convinto o meno dei propri rituali esoterici, divenne vittima fissa della trasmissione. Egli divenne incredibilmente popolare presso gli adolescenti di allora, i quali attendevano la messa in onda del programma quasi esclusivamente per ridere delle tragicomiche messe in scena di Gabriel. Il sig. Gulisano divenne realmente popolare in quel periodo e alla fine fu egli stesso a cavalcare questo successo mettendo in scena rituali sempre più complessi ma sempre più ridicoli: liberamente e volontariamente aveva capito che per poter continuare ad alimentare la propria popolarità doveva insistere in quelle sue esibizioni.