Addio Paint 3D!

Addio Paint 3D! 23 Agosto 2024 Notizie, Software Immaginavo che sarebbe successo prima o poi: a partire da novembre 2024 Paint 3D non sarà più disponibile né potrà più essere utilizzato se già installato. Una ciambella riuscita senza il buco che Microsoft è in procinto di cestinare definitivamente, sebbene non fosse un’applicazione malvagia. Forse un po’ in anticipo sui tempi, lanciata in un periodo in cui le stampanti 3D non erano ancora accessibili alla maggior parte degli utenti casalinghi, o forse troppo ambiziosamente progettata per rimpiazzare il buon vecchio Paint dopo decenni di gloriosa carriera, prometteva di consentire agli utenti la realizzazione di modelli tridimensionali in modo semplice e immediato. Una volta realizzato un modello, però, poi non si sapeva cosa farsene a causa della mancata interoperabilità con applicazioni di modellazione 3D di terze parti, e restava solo la possibilità di ordinare la stampa a un servizio online. Per il resto si trattava di un’incarnazione di Paint in versione UWP, con una veste grafica leggermente rivisitata ma che rendeva più complicato usare le funzioni storiche di Paint edizione classica. Questo ha indotto moltissime persone a non adottare Paint 3D come strumento grafico per lavoretti quotidiani e a preferirgli, in maniera facilmente prevedibile l’antenato tradizionale o alternative di terze parti come GIMP oppure Paint.net. Che Paint 3D fosse sulla strada del dimenticatoio lo si poteva già intuire nel momento in cui Microsoft ha deciso di non includerla più nel sistema operativo al momento del rilascio di Windows 11 e di tornare a far evolvere la versione classica di Paint, la quale oggi ha l’aspetto delle applicazioni espressamente disegnate per Windows 11 e, in più, ha acquistato nuove funzioni, tra cui quelle legate all’uso dell’intelligenza artificiale come la rimozione dello sfondo nelle foto. Paint non vuol saperne di andare in pensione. Sono poche le applicazioni che hanno resistito al trascorrere del tempo e una di queste è proprio MS Paint, presente in tutte le versioni di Windows messe in commercio, nonostante non sia stata originariamente creata da Microsoft: essa fu introdotta in Windows in virtù di una licenza concessa dal produttore originale; solo in seguito Microsoft acquisterà i diritti e il codice sorgente per realizzare Paint così come lo conosciamo. Paint, quindi, ha ancora tanta strada da fare e non sembra avvertire il peso degli anni sulle proprie spalle. Ricapitoliamo la storia di Paint, allora. 1984 – Microsoft acquista “Paintbrush”. Sviluppato col nome di “Paintbrush” da una piccola software house chiamata ZSoft Corporation, il software piacque alla Microsoft acerba dell’epoca, la quale aveva bisogno di un software per la grafica da inserire nell’imminente Windows 1.0. Paintbrush era davvero un software rudimentale e incompleto, soprattutto se messo al confronto con quanto aveva da offrire il Commodore Amiga a quei tempi (per citarlo: Deluxe Paint) e, pertanto, la sua sorte seguì quella del sistema operativo a finestre dell’azienda di Redmond fino al 1990 – scarsa diffusione, quindi, per Windows 1.x e 2.x 1990 – Paintbrush viene riscritto per Windows 3.0 Poco considerato fino a quell’anno, Paintbrush venne in larga parte riscritto da zero per consentirgli di supportare i colori (una palette di 16 colori) e di salvare le creazioni nel più comune formato .BMP; in più, l’interfaccia utente è stata aggiornata fino ad assumere quell’impostazione che è giunta a noi fino a Windows Vista. 1995 – Il nome cambia e diviene semplicemente “Paint” L’arrivo sul mercato di Windows 95 porta con sè il nuovo nome “Paint” e la possibilità di salvare anche nei formati .JPG, .GIF e .PNG ma a condizione di installare delle librerie di terze parti non incluse nel sistema operativo. Quella versione venne anche munita della possibilità di salvare le palette personalizzatei colori nel formato .PAL ma ben presto si rivelò una funzione problematica e in Windows 98 venne rimossa. 2001 – Windows XP consente a Paint di salvare nei nuovi formati Finalmente Paint può salvare direttamente in .JPG, .GIF e .PNG senza l’ausilio di librerie esterne. 2006 – Nuova UI e nuove funzioni Rimasto sostianzialmente immutato fino a quel momento, Paint si rinnova con l’avvento di Windows Vista: l’interfaccia acquisisce l’aspetto di Office 2007 (con i cd. “Ribbon”) e appaiono nuove funzioni per il ritocco delle immagini come il “Ritaglio”. 2017 – Microsoft pubblica Paint 3D e annuncia la rimozione di Paint classico Come spiegato sopra, Paint 3D sarebbe dovuto succedere a Paint in maniera definitiva e Microsoft giunse persino a fare un annuncio in tal senso ma oggi, dopo sette anni, gli esiti si sono rivelati diversi da ciò che la casa madre prospettava. Articolo precedente

Un imperatore piccolo piccolo | #TwitterMigration

Un imperatore piccolo piccolo | #TwitterMigration 19 Dicembre 2022 Social Networks Ci risiamo: Elon Musk prende decisioni e fa scappare gli utenti da Twitter verso Mastodon. Sembrerebbe quasi che egli sia l’unico a non considerare discutibili quelle decisioni ma poco importa, tanto “il pallone è mio e ci faccio quel che dico io“. Si dovrebbe scomodare il Dott. Sigmund Freud per analizzare la psiche del neoproprietario di Twitter, perché nessuno capisce realmente quali siano i suoi obiettivi – probabilmente nemmeno i dipendenti superstiti e che gli stanno accanto quotidianamente. Tutto è cominciato nella notte (italiana) a cavallo fra giovedì 15 e venerdì 16 dicembre, nel momento in cui uno tsunami di ban e di limitazioni agli account ha investito il Twitterverso. Il primo a cadere è stato l’account @elonjet, creato da uno studente per seguire gli spostamenti di Musk a bordo del suo jet personale. A ruota, è stata comminata la sospensione a una lunga serie di account appartenenti a giornalisti di importanti testate USA, rei dell’essersi interessarti a @elonjet, agli affari di Musk e per aver rivelato che questi affari non sono poi così brillanti. Infine, è calata la mannaia della censura nei confronti di Mastodon, impedendo agli utenti di postare link a Mastodon (sia in tweet che nella bio) e mostrando a questi un avviso riguardante una presunta violazione della Url Policy di Twitter, poiché i link diretti a Mastodon sarebbero potenzialmente pericolosi. Proviamo a districare la matassa. La lunghezza dell’articolo mi costringe a mettere qui un sommario per una più rapida consultazione: @elonjet I giornalisti sospesi Mastodon filtrato Un imperatore in pectore L’imperatore e la sua arena Le paure dell’imperatore Cosa verrà dopo? L’ultima genialata. Aggiornamenti. 1 – @elonjet La giustificazione ufficiale per la sospensione dell’account creato da Jack Sweeney risiederebbe nella pubblicazione illecita di dati che secondo Musk sarebbero privati. In realtà, è esattamente il contrario: il programmatore del bot collegato a @elonjet sfrutta i dati di navigazione aerea che devono essere pubblici per forza di legge. Quei dati, infatti, servono alla gestione del traffico da parte delle torri di controllo, così da evitare che due aeromobili siano tanto vicini tra loro da rischiare la collisione, oppure per verificare che un velivolo non si ritrovi in una no-fly zone istituita per ragioni di sicurezza pubblica. Avete mai visitato il sito FlightRadar24? Ecco, quel sito sfrutta gli stessi dati per visualizzare graficamente gli spostamenti di tutti gli aeromobili, dunque quali sarebbero i dati privati diffusi illecitamente da @elonjet? Nessuno, sebbene Musk sostenga che si possa facilmente associare un numero identificativo alla sua persona. Più semplicemente, Musk ha deciso che non gli stava bene far conoscere la propria posizione attraverso la piattaforma per cui ha speso 44 miliardi di dollari. Attenzione! Bisogna ribadire che stiamo parlando di decisioni assunte da Musk in persona e non da Twitter attraverso un team di moderazione: tutto questo, ormai, non esiste più ed è proprio lui a comandare blocchi e limitazioni nei confronti di chi abuserebbe della sua piattaforma sociale (oppure di chi semplicemente non gli piace). Come se non bastasse, dopo la sospensione di @elonjet, è arrivata anche la sospensione dell’account personale del suo creatore, Jack Sweeney (@JxckSweeney). 2 – i giornalisti sospesi per doxxing. In modo direttamente collegato alla vicenda di @elonjet, a ruota è arrivata una raffica di sospensioni e blocchi nei confronti degli account di nove giornalisti USA, rei d’aver semplicemente svolto il proprio mestiere. Nello specifico, Musk ha giustificato l’azione sostenendo che chiunque riporti informazioni relative agli spostamenti suoi e dei suoi familiari viene immediatamente bannato per aver praticato il doxxing; in questo specifico caso, quei giornalisti hanno semplicemente scritto dell’attività di @elonjet, perciò sono stati sospesi meramente per proprietà transitiva. In questo frangente, tra la sospensione di @elonjet e quelle inflitte ai giornalisti, Musk ha pubblicamente denunciato un fatto strano: ha dichiarato che a causa del continuo doxxing, un “pericoloso stalker” ha seguito un’auto con il figlio di due anni a bordo e, approfittando di un ingorgo stradale, costui avrebbe colto l’occasione per saltare in piedi sul cofano della vettura, credendo che all’interno vi fosse lo stesso Musk. La vicenda è avvolta dal mistero poiché non vi sono prove che attestino la veridicità di quanto lamentato dal milionario imprenditore; tuttavia, Elon ha invitato tutti gli utenti di Twitter ad aiutarlo nell’identificazione dell’aggressore, mostrando pure um breve video in cui appare il numero della targa della presunta vettura del presunto stalker. E tanto gli è bastato per giustificare la raffica di sospensioni: divulgate gli spostamenti della mia famiglia e mi aggrediscono quindi siete responsabili e vi sospendo da Twitter. Naturalmente gli ambienti del giornalismo non sono rimasti a guardare e i vari editori (affiancati persino da diverse istituzioni sovranazionali) hanno tuonato contro il CEO di Twitter proprio perché queste azioni tutto sembrano meno che dirette a tutelare la libertà d’informazione e l’abusato concetto di free speech che Musk sbandiera ai quattro venti. L’aria è cambiata in Twitter. Effettivamente, basta star fuori per un certo periodo – come il sottoscritto – e rientrarvi per osservare un netto cambiamento d’atmosfera: la lista italiana dei trending topic è sempre più infarcita di hashtag filorussi, filoputiniani e comunque promossi ad arte da una macchina della propaganda ombra. Prendendo il coraggio a quattro mani e aprendo uno di quei topic si può osservare un aumento esponenziale della partecipazione di account esplicitamente orientati a destra, no vax, mattonisti, bandierini e altra robaccia simile; parimenti ho notato un drastico calo di interazioni tra account, pur chiaramente orientati nello stesso senso, come se tutte queste persone (?) scrivessero solo per il gusto di scrivere usando quello specifico hashtag – il che alimenta ulteriormente la mia idea di macchina della propaganda ombra. Se poi si tenta di capire cosa succede fuori dalla bolla del Twitter italiano, ci si scontra con una realtà simile anche nelle “bolle Twitter” di altre aree del pianeta: l’avvento di Musk ha praticamente legittimato la divulgazione di bufale, di hate speech (altro che free!) e atteggiamenti passivo-aggressivi. Non a caso, i più felici dell’avvento di Musk alla guida di Twitter LEGGI TUTTO

#Socialpocalypse – perché i grandi social traballano mentre #Mastodon cresce?

Stiamo assistendo alla crescita di #mastodon ma stiamo anche assistendo alla caduta dei #social tradizionale e di #Twitter in particolare? Alcune considerazioni sul tema e una breve guida per chi vuol avventurarsi in Mastodon e nel Fediverso.

Quanto può essere lungo il percorso di un file?

Quanto può essere lungo il percorso di un file? 10 Ottobre 2022 Tutorial Difficoltà Clicca per conoscere i livelli di difficoltà dei tutorial Si applica a… Windows Linux macOS Vi è una terribile abitudine presso l’utenza media di computer: l’uso di nomi lunghissimi per file e cartelle. Purtroppo non tutti sanno che non si possono assegnare nomi di cartelle e file eccessivamente lunghi perché (soprattutto) Windows impone una lunghezza massima ai percorsi dei files. Se da un lato all’utente medio sembra una scelta naturale quella di creare nomi di file lunghi per descrivere meglio il contenuto, dall’altro egli non sa che questa pessima abitudine può causare enormi problemi al sistema e, in particolar modo, quando ci si trova in un ambiente di lavoro informatizzato in cui quei file sono spesso condivisi con i colleghi.  Quando un file ha un percorso troppo lungo (inteso come lunghezza in caratteri del percorso di cartelle e del nome del file stesso), il primo sintomo che indica problemi consiste nel rifiuto di aprire/cancellare/spostare il file da parte del sistema operativo. Per esempio: C:Cartella condivisaUfficio XYZArea 1 – Ufficio finanza e contabilitàCartella di Mario Rossi – Relazioni finali anni fiscali 2010 – 2020Relazioni anni 2010-2020Relazione Anno 2020PDFRelazione finale anno fiscaleRelazione anno 2020 validata e verificata – firmata digitalmente.pdf Questo percorso misura 288 caratteri spazi inclusi (sì, anche lo spazio è un carattere): quando il collega di Mario Rossi vorrà andare a leggere il file direttamente nella cartella condivisa, Windows si rifuterà categoricamente di mostrare i contenuti. In una situazione come quella sopra esemplificata, sarebbe meglio pensare a non creare troppe sottocartelle e a creare archivi compressi (come .ZIP con ZipGenius), all’interno dei quali creare quella struttura di sottocartelle che serve per organizzare meglio file diversi tra loro ma di natura omogenea. Per esempio, nel percorso C:Cartella condivisaUfficio XYZArea 1 – Ufficio finanza e contabilità si potrebbe creare uno .zip con dentro: Relazioni finali anni 2010-2020.zip 2010 relazione finale 2010.pdf 2011 relazione finale 2011.pdf … 2020 relazione finale 2020.pdf Quali sono i limiti per ogni sistema operativo? Tutto dipende dal filesystem usato dal sistema operativo. Windows con il filesystem NTFS impone la lunghezza massima di 260 caratteri e, in più, impedisce l’uso dei caratteri / : * ” ? < > |. Tuttavia, in certe condizioni che non si applicano al nostro (e che non approfondirò qui), si può giungere a percorsi di 32.767 caratteri; si tratta di un caso molto raro di utilizzo per gli utenti “normali” come noi e che interessa soprattutto le comunicazioni fra server (perché in quel caso i percorsi dei file sono lunghi per ovvie ragioni tecniche); In Linux il limite per la lunghezza di un percorso è fissato virtualmente a 4096 caratteri mentre il nome di un file puà essere al massimo di 255 caratteri. Nonostante ciò, però, i file system di Linux permettono di andare ben oltre questi limiti e questo spiega perché si preferisca Linux in ambiente server. MacOS anche con il più recente filesystem APFS impone una lunghezza massima del nome file di 255 caratteri ma un percorso può arrivare al massimo fino a 1024 caratteri. (A questa pagina una comparazione dei limiti dei diversi file system). A differenza di Windows, gli altri due sistemi operativi consentono l’uso di alcuni di quei caratteri “vietati”. In quest’immagine vi mostro il Terminale di Debian in cui ho creato cartelle con nomi contenenti : e ?, una situazione che in Windows impedirebbe la prosecuzione dell’operazione. Or bene, immaginatevi a usare Linux e a decidere di scansionare una raccomandata in PDF e chiamare il file come Scansione raccomandata del 21-dicembre-2019: risposta da società Alfa srl.pdf. Se Linux non batte ciglio per un nome file del genere, Windows si rifiuta di utilizzare i “:” in fase di rinominazione del file; se il file, invece, è generato su un sistema operativo diverso e poi trasferito su Windows, in tal caso quest’ultimo si rifiuterà di aprire il documento. Bene che vada, Windows potrebbe sostituire i caratteri non consentiti con qualcosa che sia per lui digeribile ma in un contesto professionale, molto dipende dalla configurazione delle policies di gruppo che gli amministratori di sistema sono soliti rendere più stringenti per motivi di sicurezza. Aggirare il limite in Windows 10 e 11. Il limite dei 260 caratteri di lunghezza complessiva imposto da Windows può essere facilmente aggirato modificando due chiavi del registro di configurazione di Windows. Clicca “Start” e digita regedit. Se sono richieste, inserisci le credenziali da amministratore del sistema. Vai al percorso HKEY_LOCAL_MACHINESYSTEMControlSet001ControlFileSystem e localizza la chiave di tipo DWORD “LongPathsEnabled“. Questa èsolitamente impostata a “0” (zero): fai doppio click su questa e sostituisci il valore “0” con “1“. Vai anche al percorso HKEY_LOCAL_MACHINESYSTEMCurrentControlSetControlFileSystem e cerca anche qui la chiave DWORD “LongPathsEnabled“. Dopo averla trovata, sostituisci il valore “0” con “1“. Chiudi regedit e riavvia il computer. A questo punto dovresti essere in grado di creare percorsi più lunghi di 260 caratteri. Per tua comodità ho realizzato due file .reg che, rispettivamente, abilitano o disabilitano la modifica sopra illustrata: scaricali e fai doppio click per eseguire le modifiche al registro di configurazione (potrebbero esserti richieste le credenziali da amministratore del sistema). Scarica Attiva-Disattiva_percorsi_lunghi.zip – Decomprimi l’archivio con ZipGenius.   Altri tutorial Tutorial 31 Agosto 2024 Conoscere la memoria del PC con un comando Con un semplice comando eseguito nel prompt dei comandi di… Leggi tutto 17 Ottobre 2022 Il bestiario del #PCT – la #scansione dei #documenti e i file #PDF enormi. Il problema più grosso che può presentarsi durante un deposito… Leggi tutto 10 Ottobre 2022 Quanto può essere lungo il percorso di un file? Quanto può essere lungo il percorso di un file? 10… Leggi tutto 22 Luglio 2020 Outlook 365 non parte? Ecco come ho risolto. Outlook 365 non parte? Ecco come ho risolto. 22 Luglio… Leggi tutto 27 Giugno 2020 Le virtual machine: cosa sono e perché potreste averne bisogno. Le virtual machine: cosa sono e perché potreste averne bisogno.… Leggi tutto Load More End of Content.

Google Analytics è illegale per il Garante italiano?

Google Analytics è illegale per il Garante italiano? 24 Giugno 2022 Notizie Alla fine è successo. Nell’arco di 24 ore ho letto qualcuno che si è detto meravigliato dalla decisione ma a mio modesto parere, è proprio nulla di cui meravigliarsi. Con provvedimento del 23 giugno 2022, Il Garante Privacy italiano si è allineato al CNIL (il garante francese) e al Datenschutzbehörde (DSB, il garante austriaco) e ha dichiarato illegittimo il trasferimento di dati fuori dallo Spazio Economico Europeo (SEE) che Analytics attua durante il suo uso. Questo provvedimento altro non è che la risposta a una segnalazione effettuata nei confronti di un titolare di trattamento dati ma, più in senso lato, è una delle numerose conseguenze della decisione della Corte di Giustizia Europea conosciuta come “sentenza Schrems II“. Per chi non fosse avvezzo ai meandri della normativa del settore e per chi non ricordasse di cosa si tratta, la sentenza Schrems II ha provocato l’abolizione del cd. “Privacy Shield” cioè l’accordo stipulato tra Unione Europea e Governo degli Stati Uniti d’America affinché i dati dei cittadini europei fossero tutelati circa allo stesso livello di quanto avviene nel territorio europeo. Si riteneva che detto accordo fosse un giusto compromesso per permettere soprattutto ai big della tecnologia di continuare a lavorare (e profittare) con clienti residenti nell’Unione Europea; detto accordo, però, si è rivelato piuttosto debole e sul versante americano è entrato in conflitto con alcune normative locali che consentono l’accesso ai dati personali trattati alle diverse agenzie governative impegnate nella lotta al terrorismo. La decisione della Corte di Giustizia ha accolto il ricorso promosso da Noyb attraverso Max Schrems (presidente onorario di Noyb) e ha evidenziato come USA e UE siano su piani diversi per ciò che riguarda la tutela dei dati personali. Da questa decisione, quindi, è iniziata una cascata di conseguenze, la più evidente delle quali è proprio quella di cui scrivo oggi. Il problema non è Google Analytics in sé ma il trasferimento dei dati fuori dall’Unione Europea, e questo è un dettaglio che accomuna tutti i servizi di Google – almeno quelli disponibili gratuitamente. Basti pensare che persino l’uso di Google Fonts ha provocato una sanzione da parte del Garante tedesco nei confronti del titolare di un sito web (e qualcosa di simile è accaduto a un sito web istituzionale italiano). Cosa succederà da ora in poi? Il Garante ha dato 90 giorni di tempo per uniformarsi al provvedimento (solo al titolare oggetto della segnalazione ma consideratelo un ammonimento per tutti) per sostituire Analytics con una soluzione conforme al GDPR. Ascoltando diversi pareri di esperti tecnici del settore, mi sembra che vi sia una convergenza verso l’adozione di Matomo installato localmente. Matomo rappresenta una valida alternativa orientata alla tutela dei dati analizzati ma molti hosting provider preferiscono offrire, ancora a metà 2022), il classico AwStats che, sebbene di produzione francese, non sembra essere perfettamente in linea con il GDPR come, al contrario, è Matomo. Ritengo opportuno consultare il proprio hosting provider, soprattutto se abbiamo uno spazio in un server condiviso e con possibilità di gestione limitate; bisogna verificare se il server attraverso cPanel o Plesk o simili, consenta l’installazione di Matomo attaverso Softacolous, altrimenti sarà necessario valutare un’opzione alternativa ma che sia sempre conforme al GDPR. In conclusione. Questo provvedimento del Garante deve indurci a ripensare completamente i siti web che si possiedono e che si progettano per terze parti. Avere un servizio marchiato Google, in assenza di una disciplina normativa che legittimi il trasferimento di dati extra-UE, è di fatto illegale da oggi. Lo stesso, dunque, può dirsi anche per Gmail, dato che parecchi professionisti hanno il pessimo vizio di usare Gmail per il lavoro perché è gratuito. Gratuito sì ma non conforme al GDPR e vi espone al rischio di una segnalazione al Garante. Un professionista che propone Gmail come propria casella di posta elettronica non fa una bella figura: è opportuno registrare un proprio nome a dominio .IT e usare la casella di posta associata a quel dominio. L’indirizzo e-mail dovrebbe rientrare nella strategia di marketing della propria professione e, pertanto, dovrebbe essere considerato come una specie di bigliettino da visita. La differenza tra avv.matteo.riso.74@gmail.com e avvocato@matteoriso.it è enorme ed evidente: il secondo indirizzo è più professionale ma soprattutto, è garanzia che i dati trasmessi saranno trattati conformemente al GDPR, attraverso un server collocato sul suolo dell’Unione Europea, e secondo quanto previsto dal trattamento dei dati di cui sono titolare. Pertanto, in attesa che USA e UE realizzino un nuovo accordo sul trattamento dei dati, il miglior consiglio che possa darsi è sviare dall’uso di Google Analytics per trovare nuove soluzioni. Sono sicuro, però, che identica cosa possa dirsi anche per tutti gli altri servizi online di Google e non solo. Chi vivrà vedrà.   Articolo precedenteArticolo successivo