matteoriso.it

Mastodon vs Twitter: la storia sta per ripetersi?

Le premesse nella home page di Mastodon sono chiarissime e suonano ancora più assordanti alla luce degli sviluppi recenti dell’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk. Facciamo un salto temporale all’indietro di un paio di anni: tanti anni fa, più o meno agli inizi del nuovo millennio, i social network non avevano la forma che conosciamo, nemmeno si chiamavano “social network” e ancora erano identificati per il loro nome e per quel che facevano: LiveJournal era (ed è ancora perché esiste tutt’oggi) una sort di diario digitale pubblico, una specie di blog personale su piattaforma centralizzata – un po’ come Blogger di Google – in cui ciascuno poteva scrivere i propri pensieri e le proprie opinioni liberamente. Fu su LiveJournal che Mark Zuckerberg, ubriaco, insultò la fidanzata dell’epoca durante una notte trascorsa davanti al computer, mentre scriveva il prototipo dell’algoritmo originale di Facebook.

Sappiamo tutti com’è andata a finire, no? Alzi la mano chi ricorda LiveJournal o MySpace: gran parte delle funzionalità di questi siti vennero copiate e integrate in Facebook facendolo diventare quel che è oggi, e MySpace a parte, LiveJournal in Italia non ha mai attecchito presso il grande pubblico.

In una zona diversa della Silicon Valley, invece, venne fondata una piccola startup che pretendeva di porsi come piattaforma di podcasting (Odeo) e che consentiva di inviare brevi messaggi di testo attraverso l’invio di SMS al numero 40404. Odeo non aveva previsto il lancio di Apple iTunes e l’avvento degli smartphone. Le funzioni per il podcasting divennero improvvisamente obsolete, così la startup si ritrovò sull’orlo del baratro. Durante un brainstorming fra i 14 dipendenti di Odeo, tale Jack Dorsey ebbe l’idea di mantenere e sviluppare ulteriormente la funzione di scambio messaggi. Quella proposta provocò uno dei tanti terremoti all’interno del management di quella società. Twitter venne pubblicamente rilasciato il 15 luglio 2016 e consentiva l’invio di brevi messaggi da SMS a Web (e viceversa negli USA) lunghi massimo 140 caratteri (limite portato agli odierni 280).

Dall’originale concetto di piattaforma di microblogging Twitter si scostò notevolmente, fino a diventare una delle principali fonti di informazione (e disinformazione), di propaganda politica (anche estrema) e veicolo di contenuti spesso discutibili. Si ritiene che Twitter abbia avuto un ruolo determinante nell’elezione di Donald Trump quale presidente degli Stati Uniti d’America, insieme a Facebook e alle operazioni che Cambridge Analytica effettuava nell’ombra per influenzare l’elettorato statunitense.

Tuttavia, è di pubblico dominio il fatto che è stata Twitter a silenziare il presidente Trump all’indomani dell’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021: recependo l’enorme moto di dissenso dei propri utenti, l’azienda bloccò l’account personale di Trump a tempo indeterminato (restituitogli solo di recente) e trasferì quello ufficiale @POTUS (President Of The Unites States) nelle mani dello staff di Joe Biden.

Il danno, però, è stato fatto ed è irreversibile: in Twitter albergano soggetti di quaunque specie, dai complottisti (come QAnon) ai negazionisti (di qualunque cosa), dai terrapiattisti ai no-vax/no-greenpass/no-covid, senza scordarsi dei “mattonisti” e dei razzisti tout court. Sono il primo a sostenere che per navigare pacificamente in Twitter e ricevere informazioni corrette e verificabili, bisogna lavorare parecchio per filtrare, bloccare o silenziare account tossici o fastidiosi.

In realtà dovrei parlare anche di Google+, il mio social network preferito ma mal gestito e rapidamente abbandonato al proprio destino e, quindi, irrimediabilmente travolto dai due big citati prima. E TikTok è altra roba, non un social network ma una piattaforma di contenuti multimediali più in concorrenza con YouTube e Instagram (che ne stanno copiando alcune funzionalità, infatti).

Twitter ha un’identità ben definita oggi ma l’azienda che sta alle spalle ha preso spesso alcune decisioni ondivaghe, soprattutto quando i conti non tornavano e bisognava trovare un modello di business per mantenere la baracca in piedi – illuminante l’outing fatto da Steve Krenzel, ex ingegnere presso Twitter, in cui racconta come Twitter stava per accettare di tracciare silenziosamente gli spostamenti degli utenti per vendere quei dati a un’azienda di telecomunicazioni.

Stiamo parlando di un’azienda che non ha mai trovato un modello di business conveniente e redditizio: gli account premium non prendono piede e i tweet sponsorizzati non rendono come sperato. Sembrava che Twitter dovesse chiudere da un momento all’altro finché non è arrivato lui:

Che lo si consideri un genio visionario o un bambinone cresciuto che trascorre il tempo creando aziende perennemente in perdita, bisogna riconoscergli due caratteristiche: ha il fiuto per gli affari ed è ricco.

Proprio quel che serviva a Twitter dopo l’uscita di Jack Dorsey dall’azienda in crisi di liquidità.

Purtroppo, com’era lecito attendersi, Musk ha iniziato a fare le bizze durante l’acquisto della società: dapprima si è lamentato per l’elevato numero di account fake – secondo lui Twitter è più “piccola” di quel che sembra – e poi ha lasciato intendere di non voler più procedere al perfezionamento dell’acquisto (sempre perché Twitter non ha comunicato il numero di account falsi), tanto da indurre gli organismi di vigilanza a minacciare azioni legali e richieste di risarcimento, considerato che nel frattempo, il titolo in borsa è crollato.

Pace fatta? Apparentemente. Musk sborsa 44 miliardi di dollari e diventa il nuovo proprietario di Twitter però inizia subito ad agire… come un bambinone ricco e viziato, assolutamente non in grado di gestire da solo un’azienda che si regge su certi equilibri. Twitter non è Tesla né The Boring Company e nemmeno Space X: è un’azienda che vive in un mondo digitale grazie all’immenso know-how dei programmatori che fanno funzionare Twitter (l’applicazione) e Musk, invece, cosa fa? Licenzia subito 3000 dipendenti con una e-mail, salvo accorgersi che molti di questi coprivano posizioni di lavoro infungibili. Per esempio, il team per il fact-checking sulle notizie è stato azzerato, così come è stato fortemente ridimensionato il gruppo per l’applicazione delle linee guida promosse dall’ONU per il rispetto dei diritti umani.

Tempo due giorni e Musk fa dietrofront, richiamando al lavoro diverse decine di quei dipendenti licenziati poiché ha scoperto che nessun altro poteva sostituirli nelle rispettive mansioni.

Bisognava capirlo quando Musk, prim’ancora di pagare, disse che avrebbe resto Twitter un luogo con la massima libertà di parola, un concetto che Musk intende in modo del tutto personale, favorendo la diffusione di temi e discussioni che Twitter ha sempre tenuto sotto controllo (con un team per il fact-checking, appunto). Esempio ne sia il fatto che prima gli account divenivano “verificati” solo dopo attenta valutazione da parte del team dedicato, mentre sotto Musk chiunque può acquistare la coccardina blu per appena otto dollari e far apparire la dicitura “verificato” nel proprio profilo.

Forse Twitter rischia più adesso che Musk sta versando palate di dollari, che in passato quando applicava precisi principi per non far diventare quella piattaforma un Far West: numerosi utenti di Twitter hanno (ri)scoperto Mastodon, la perfetta antitesi dei social network come li conosciamo.

Mentre tutti gli altri sono “prodotti” in mano ad aziende, Mastodon è:

  • open source
  • decentrato
  • federato
  • gratuito
  • autoregolato

In parole semplici, nessuno è proprietario di Mastodon e questi si regge sulla partecipazione volontaria di persone che mettono a disposizione un server Mastodon (o istanza); inoltre, una volta iscrittisi a un’istanza Mastodon, si può essere seguiti e si possono seguire persone presenti in altre istanze (grazie alla federazione dei server).

Il funzionamento è molto simile a Twitter e vi si può accedere da web o dalle applicazioni per smartphone (diverse, così da poter scegliere quella che più aggrada).

In conclusione.

Sembra che la fuga da Twitter sia davvero iniziata e basta guardare questo grafico che riporta l’andamento delle nuove iscrizioni quotidiane a Mastodon.

Due sono i momenti chiave: il perfezionamento dell’acquisto di Twitter e i licenziamenti di massa ordinati da Musk. Mastodon sta letteralmente riempendosi e iniziano a vedersi i segni premonitori tipici di un’azienda che sta per finire nel dimenticatoio.

E su Mastodon è presente anche il mio studio: basta cliccare qui.

Per informazioni su Mastodon, vi consiglio di visitare Mastodon Italia, un wiki con tutte le risposte alle domande che potrebbero sorgere.

Archivio
Categorie