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Le stranezze delle accuse a Pavel Durov.

Nel corso della giornata sono stati resi noti i ben 12 capi d’imputazione che la magistratura francese muove contro il fondatore di Telegram, Pavel Durov.

Ragioniamo un po’ sulla ratio giuridica di queste accuse perché chi mastica un po’ della materia sta sollevando più di qualche dubbio sulle effettive responsabilità di Durov in relazione alle specifiche contestazioni.

Riassumendo a grandi linee quanto comunicato dalla magistratura, notiamo che sono almeno tre le direttrici seguite dagli inquirenti d’oltralpe:

  1. Durov avrebbe una responsabilità onnicomprensiva per tutta una serie di reati generati in seno alla sua piattaforma: diffusione di sostanze stupefacenti, diffusione di materiale pedopornografico, diffusione di software nocivi per l’agevolazione di crimini informatici (ransomware, per esempio). Dunque, Durov sarebbe responsabile oggettivamente per il solo fatto di essere il proprietario di Telegram e di non aver effettuato i dovuti controlli preventivi. Un’accusa del genere è simile a quella mossa in moltissime occasioni a hosting provider e gestori di piattaforme online – come YouTube – e che si è spesso tradotta soltanto in una più ampia azione di moderazione. Non si è giunti, però, a condanne penali perché comunque non si trattava di temi così delicati e, inoltre, l’iscrizione a piattaforme come YouTube prevede l’accettazione di specifiche clausole per l’uso del servizio, ove sono chiaramente indicate le restrizioni alla libertà d’utilizzo del servizio. Nella fattispecie di Telegram, però, bisogna tenere presente che Durov da sempre si professa per la libertà d’espressione e ha creato Telegram libero in tutti i sensi, nel bene e nel male.

  2. La magistratura accusa Durov anche di diverse complicità nella commissione dei reati proprio in virtù della mancata collaborazione con le autorità e, parallelamente, per aver costituito di fatto un’associazione a delinquere dedita a commettere reati di un certo peso (perciò punibile con 5 o più anni di reclusione)  e al riciclaggio dei proventi derivanti dai reati commessi di gruppi criminali che fanno capo a quest’associazione. In poche parole, per la magistratura francese Telegram è la mafia.

  3. Infine, si accusa Durov di aver messo a disposizione di terze parti diversi servizi di crittografia senza dichiarazione preventiva. Quest’ultima deve essere spiegata perché è una questione poco nota ai più: chi sviluppa un’applicazione con capacità crittografiche e vuole distribuirla sul Web si scontra con la burocrazia di alcuni Paesi come gli USA e la Francia, i quali chiedono una dichiarazione preventiva sull’uso e la finalità delle funzioni crittografiche all’interno del software; tuttavia, la Francia è un po’ più esigente degli USA – che si accontentano di un’autocertificazione – e esigono che la dichiarazione sia sottoposta al vaglio dell’Autorità nazionale… E il modulo è disponibile solo in lingua francese. Pena l’impossibilità di pubblicare l’applicazione nel mercato francese. Naturalmente nella dichiarazione bisogna spiegare cosa fa la propria app, quali algoritmi crittografici usa, come li usa e per quali finalità. Secondo gli inquirenti Telegram non ha dichiarato pienamente le finalità dell’uso della crittografia che fa e, per tali ragioni, Durov sarebbe responsabile in quanto rappresentante legale e proprietario di Telegram.

Sarò sincero: mentre ritengo che certe accuse potrebbero anche avere un minimo di fondamento (soprattutto per ciò che concerne la responsabilità oggettiva sulla piattaforma), le accuse di associazione criminale e riciclaggio mi sembrano un po’ tirate per i capelli, come se si dovesse necessariamente appesantire il carico delle accuse.

Quanto all’uso della crittografia senza dichiarazione preventiva, invece, penso che qui la magistratura abbia tirato un sassolino nello stagno per vedere i cerchi che fa dove vanno a finire. Credo anche che l’aver tirato in ballo la crittografia per arrestare Durov ci riconduca direttamente alle considerazioni scritte nell’articolo “Chi ha paura della crittografia?“.

Lette come un unico corpo, queste accuse ci fanno riflettere sulla dichiarazione rilasciata a caldo dall’avvocato di Duro e che possiamo riassumere in

non si può accusare un produttore di automobili se chi le guida commette un incidente mortale.

A primo impatto si tratta di una sintesi chiara e lampante poiché Telegram andrebbe visto meramente come uno strumento per la messaggistica e ognuno dovrebbe essere l’unico responsabile per ciò che scrive o che scambia.

Però…

I termini di servizio (TOS) di Telegram si prestano a interpretazioni un po’ troppo libere. Dunque, quando ci si iscrive a Telegram si accettano le seguenti clausole:

Apparentemente Telegram proibisce il materiale per cui Durov è accusato di complicità e favoreggiamento nello scambio, anche grazie all’uso di tecniche crittografiche: è quel “publicly viewable” che spalanca una prateria di interpretazioni diverse. Un’interpretazione restrittiva dei TOS indurrebbe a ritenere che il divieto si applichi solo alle chat pubbliche; un’interpretazione estensiva, invece, porterebbe a pensare che anche le chat di gruppo, poiché spesso numerose e popolate da persone che fra loro non si conoscono neanche, andrebbero considerate chat “pubbliche” in senso lato e vi si applicherebbero le medesime condizioni.

Allo stato dei fatti, quindi, per la magistratura l’unica possibile è l’interpretazione restrittiva e, pertanto, Durov è responsabile per aver favorito e non limitato o prevenuto lo scambio di materiali illeciti nonché l’organizzazione di gruppi criminali/eversivi/paramilitari.

Attendiamo ulteriori sviluppi.

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