Il problema è più spinoso di quanto appaia. Pizzetti osserva correttamente che
Viviamo nel mondo della auto-esposizione e della trasparenza globale che sta diventando, senza che ce ne accorgiamo, quello del controllo globale
dal momento che – soprattutto dopo l’avvento di Facebook – sembra che tutti vogliano far sapere al mondo intero cosa fanno, cosa pensano e, soprattutto,dove sono. Vediamo quindi miliardi di fotografie esposte su Facebook nelle quali la gente fa vedere di essere stata in vacanza al mare o in montagna, di essersi sposata, di aver conseguito un titolo di studio, di aver festeggiato l’addio al celibato/nubilato di un amico/amica, eccetera.
Tutto ciò ormai avviene quotidianamente e, per certi versi, innocentemente, senza pensare troppo alle conseguenze che una simile esposizione potrebbe generare. Ciò è ancora più vero se queste informazioni vengono immesse in rete usando – appunto – gli smartphones, i quali, prontamente, aggiungono le informazioni sulla geolocalizzazione ai contenuti in modo pressoché automatico.
La geolocalizzazione è stata vista fino ad oggi come una naturale evoluzione nell’approccio agli smartphones, tanto che alcune campagne pubblicitarie sfruttavano il concetto “fai sapere ai tuoi amici dove sei e cosa stai facendo” per promuovere l’ultimo terminale di un noto produttore di cellulari. E’ vero: la geolocalizzazione permette questo ma, purtroppo, “ciò che fai e dove sei” oggi può saperlo anche chi è amico di un tuo amico e può farsi indebitamente gli affari tuoi. Piuttosto, la geolocalizzazione è l’evoluzione di un vecchio concetto di tracciabilità delle persone creato da una scuola di pensiero diffusa globalmente, per la quale siamo tutti rintracciabili perché lasciamo tracce elettroniche in modo costante, invisibile e continuo. Se telefoniamo a casa di un amico, l’operatore telefonico registra l’ora di inizio conversazione, il numero chiamato e la durata stessa della conversazione. Usciamo da casa dopo e andiamo a prelevare al bancomat, quindi la macchina registra l’ora della transazione, il numero del conto corrente interessato e il numero identificativo dello sportello. E poi, ogni volta che paghiamo con una carta di credito o un bancomat, generiamo una nuova traccia del nostro passaggio, così come lo stesso cellulare, pure sprovvisto di sistema GPS, lascia traccia del passaggio nel momento in cui si aggancia ad una cella di rete e si sgancia dall’altra. Le ultime vicende di cronaca, non a caso, ci mostrano come le indagini siano sempre più “scientifiche” e si rivolgano subito all’analisi delle celle di telefonia mobile nei dintorni della scena del crimine, al fine di esaminare i movimenti dei sospettati.