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Microsoft non imporrà il ritorno in ufficio come Amazon (a meno che…)

Questo è un periodo in cui il lavoro agile (o “smartworking” all’italiana) è pesantemente messo in discussione in più ambiti e in particolare nel mondo delle aziende tech, laddove – al contrario – non vi sarebbe alcuna controindicazione a far lavorare i dipendenti da casa: stiamo parlando soprattutto di programmatori e ingegneri del software, una categoria di lavoratori cui basta avere un computer connesso alla Rete per poter portare avanti i propri lavori, e non di operai che devono necessariamente andare in fabbrica a piegare metalli o a costruire macchine o altri prodotti.

Nonostante questa considerazione di fondo, parecchie aziende tech stanno imponendo il ritorno in ufficio (o RTO, return to office) a tutti i propri dipendenti; questi utlimi, dal canto loro, lamentano questa imposizione perché spesso sono costretti a trascorrere molto tempo incastrati nel traffico urbano e extraurbano per poter raggiungere il proprio ufficio (e mettersi davanti a un computer).

Queste sono le aziende che nel corso degli ultimi mesi hanno imposto ai lavoratori di tornare in ufficio.

Amazon

La motivazione offerta dal CEO Andrew Jassy poggia sull’assunto per cui le collaborazioni in presenza e il cd. brainstorming contribuiscano a creare maggiore produttività e un miglior flusso di lavoro, al punto da dover tornare tutti in ufficio

allo stesso modo in cui si faceva prima dell’esplosione del COVID.

Disney

Già dal 2023 la Disney ha imposto il ritorno in ufficio per quattro giorni a settimana (tipicamente da lunedì a giovedì). Il CEO Bob Iger sostiene che

in un business creativo come il nostro, nulla può sostituire le connessioni, le discussioni e le analisi che derivano dallo stare fisicamente insieme ai colleghi nella stessa stanza, così come non si può trascurare la possibilità di crescere professionalmente apprendendo direttamente dai capi e dai colleghi con maggiore esperienza.

JPMorgan

Il CEO Jamie Dimon è un fevente sostenitore del lavoro in presenza e tempo fa ha denigrato il lavoro da remoto affermando semplicemente che

non funziona per i più giovani, non funziona per chi vuole sfondare.

Dall’aprile 2023 i lavoratori devono presenziare in ufficio almeno tre volte in una settimana e l’azienda traccia attivamente le presenze in ufficio.

X

Per Elon Musk i lavoratori sono più produttivi quando lavorano negli uffici aziendali. Nel 2022 ha ordinato a tutti i lavoratori il rientro in ufficio a tempo pieno, indicando che avrebbe considerato l’assenza come una chiara volontà di dimettersi.

Zoom

Zoom è stata l’azienda che più ha beneficiato del lavoro (degl altri) da remoto durante la pandemia di COVID, divenendo una vera e propria icona da associare al concetto di lavoro agile; nonostante tutto, è stato ordinato a 7.400 lavoratori di rientrare in ufficio almeno due volte a settimana e, in particolar modo, l’ordine si applica proprio a quei lavoratori che vivono nei pressi di un ufficio aziendale.

In Italia, tuttavia, la crociata contro il lavoro da remoto è iniziata ben prima e nemmeno la pandemia era stata dichiarata conclusa: l’allora Ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta – oggi presidente del CNEL – decretò la fine dello smartworking che considerava solo come

risposta emergenziale al lockdown, si doveva tenere a casa i diepdenti pubblici e lo si è fatto in questa modalità, si potevano mettere in cassa integrazione come nel privato ma si è preferito il lavoro cosiddetto smart (…) questo tipo di lavoro è lavoro del servizio pubblico (…) senza contratto (…), è lavoro a domicilio con l’uso di smartphone e di computerino di casa.

Sebbene riluttante, Brunetta poi si è preso il merito di aver contrattualizzato lo smartworking (oggi ancora in essere e concesso sulla base di accordi individuali, soprattutto in favore di “lavoratori fragili” e “fuori sede”, pur ribadendo che nella sua visione lo smartwork non può essere assunto a modello per il futuro.

Tornando alle aziende tech americane, bisogna segnalare l’unica che fino a oggi è andata controcorrente: la Microsoft che Satya Nadella guida con saggezza ormai da molti anni.

Non vi è una dichiarazione ufficiale in merito – si tratta di indiscrezioni, perciò – ma secondo un top manager dell’azienda di Redmond, non vi è la necessità di ordinare il rientro in ufficio ai lavoratori e si manterrà il lavoro da remoto fino a quando non si osserverà un evidente calo della produttività – cosa che a Microsoft non succede più da diverso tempo.

L’unica affermazione ufficiale proveniente da un portavoce è stata raccolta da Business Insider e si limita a dichiarare che

le politiche del lavoro aziendale non sono cambiate.

Perché questa battaglia contro il lavoro agile?

In un periodo di continui e cospicui tagli alla forza lavoro operati da numerose compagnie tech in tutto il mondo, questa ondata di ordini di rientro in ufficio è solo una maschera per qualcosa di più pesante: secondo molti esperti, infatti, gli ordini di rientro in ufficio altro non servono che a incentivare le dimissioni volontarie dei lavoratori, se non (addirittura) coprire successive operazioni di licenziamenti massivi che si giustificherebbero col taglio dei costi per le aziende. La conferma indiretta di quest’idea deriverebbe dal sito Blind che ha condotto un sondaggio anonimo dal quale emerge che il 73% di professionisti Amazon (opportunamente verificati per non falsare i risultati) starebbe considerando di lasciare il lavoro.

A riassumere l’opinione di molti CEO basta ricordare la semplice manifestazione di pensiero con cui Musk ha abolito lo smartwork in Tesla:

i colletti bianchi che pretendono flessibilità, lavoro da remoto o ibrido sono semplicemente pigri (…) dovrebbero chiedere di andare a lavorare altrove.

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