La rielezione di Trump agli occhi delle Big Tech

Non troppo inaspettatamente Donald Trump è stato rieletto alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Si tratta del secondo mandato dopo quello tra il 2017 e 2021, però questo accade in un panorama globale estremamente cambiato rispetto ai primi quattro anni alla Casa Bianca: sono in corso due guerre in cui la posizione degli USA è controversa – sostegno contro un “nemico”, non intervento e monito a un “amico”; Elon Musk ha comprato Twitter e l’ha trasformato in X, facendolo diventare il social di riferimento per estremisti di destra e sostenitori trumpiani; Zuckerberg ha lanciato il proprio anti-twtter; Mastodon e il fediverso sono saliti alla ribalta all’indomani dell’8 novembre 2022, giorno in cui Musk ha acquistato Twitter; complessivamente, la tecnologia ha iniziato a invadere la vita quotidiana attraverso la nascita delle varie intelligenze artificiali.

Avendo già conosciuto le posizioni ideologiche e politiche di Trump, all’indomani della nuova elezione viene da pensare che nei prossimi quattro anni potremmo assistere ad alcuni stravolgimenti epocali ma più in senso distruttivo anziché costruttivo. Basterebbe riguardare e risentire il discorso di ringraziamento di Trump, con il quale ha già anticipato di voler riattivare propri provvedimenti che l’amministrazione Biden ha neutralizzato; probabilmente, tornerà una guerra dei dazi con i paesi esteri (tra cui l’Italia) e un rafforzamento dell’embargo nei confronti di alcune aziende cinesi (Huawei, in primis) che Trump ha bollato come pericolose per la sicurezza nazionale.

Se da un lato tornerà a imporre divieti alle aziende cinesi, dall’altro Trump si sdraierà nel momento in cui la Cina inizierà a reclamare la sovranità su Taiwan (il principale produttore di componentistica per l’industria elettronica)con inevitabili conseguenze sui prezzi dei prodotti finali e sulla disponibilità di questi anche in Europa.

La politica protezionista di Trump è chiara: produrre in USA, acquistare made in USA. Se un’azienda vuole sfuggire a queste restrizioni, allora non ha altra scelta che delocalizzare le produzioni sul suolo americano (e conseguente aumento dei costi che ricadranno sull’utente finale). Decidere di spostare la produzione negli USA, però, comporta l’avete a che fare con un enorme elefante nella stanza che di nome fa Elon Musk.

Solitamente sono i capi di Stato a congratularsi con il nuovo Presidente eletto ma quest’anno abbiamo assistito alla corsa dei CEO delle Big Tech americane per postare sui social gli auguri più sinceri a Trump.

Tutti tranne uno, Musk, che invece è stato ringraziato proprio dal neopresidente per essersi profuso in una campagna elettorale “fantastica”. Ascoltando quelle parole di Trump verso l’amico, si evince una specie di rapporto di sudditanza psicologica (e economica) nei confronti del secondo verso il primo, quasi dipinto come un deus ex machina senza il quale non sarebbe stato possibile raggiungere questo risultato. È palesemente un rapporto diverso di quello che Trump avrebbe o dovrebbe avere con altri CEO dell’industria tecnologica americana.

Il tono usato da Mark Zuckerberg tradisce una certa ansia da prestazione, come se Zuckerberg voglia non essere estromesso da opportunità economiche e imprenditoriali che (in teoria) dovrebbero e potrebbero già essere nelle mani di Musk.

Le parole usate da Satya Nadella di Microsoft sono abbastanza simili a quelle di Zuckerberg, ossia lasciano trapelare una richiesta subliminale di non estromissione e, per ciò che riguarda Microsoft, di non impedimento al business che da decenni ha sviluppato in paesi che – agli occhi di Trump – sono nemici degli Stati Uniti.

La prova del nove la fornisce Tim Cook di Apple, che usa parole di circostanza e tono simile a quello dei due colleghi, Zuckerberg e Nadella, e sembra quasi voler rimarcare la posizione di leader che Apple ha assunto nell’industria tecnologica americana – però servendosi spesso di chip prodotti a Taiwan (basti pensare che sebbene progettati negli USA, i chip degli iPhone sono costruiti dalla taiwanese TSMC).

Più o meno sulla stessa lunbghezza d’onda è Sundar Pichai, CEO di Google e Alphabet: il tono è sempre quello di un velato asservimento al nuovo “padrone” e una disperata ricerca di collaborazione con l’amministrazione che si insedierà nel mese di gennaio 2025. Google ha molto da perdere e poco da guadagnare: negli USA gli utenti preferiscono gli iPhone mentre Android è solo un sistema operativo che qualsiasi produttore mondiale può installare. Un eventuale provvedimento restrittivo del governo nei confronti di alcuni 

Più rilassato Jeff Bezos di Amazon. Stiamo parlando di un criptosostenitore trumpiano, mai espostosi in prima linea ma chiaramente non ostile al nuovo Presidente. Il suo messaggio è più informale e non tocca il tema del lavoro, forte del fatto che la sua azienda principale, Amazon appunto, è di fato un monopolista a livello globale e, pertanto, non teme alcuna forma di concorrenza o restrizione.

 

Elon Musk?

Musk ha finanziato la campagna elettorale di Trump e vi ha partecipato attivamente, finanche esponendosi in prima persona e prendendo parte a un comizio del candidato Trump. Lui non deve proprio congratularsi con nessuno e, anzi, è stato Trump a farlo con lui, ringraziandolo (e forse ricompensandolo lautamente) per l’impegno profuso. Mentre gli altri CEO (fatta eccezione per Bezos) hanno scritto messaggi degni del miglior Geometra Calboni di fantozziana memoria, Musk si appresta a diventare il braccio armato tecnologico della prossima amministrazione Trump.

Gli altri CEO sono in fibrillazione perché un loro diretto concorrente (Musk in quanto tale) è improvvisamente diventato uno degli alleati più fedeli del prossimo Presidente e, apparentemente, anche uno di quelli che potrebbero essere i fautori del cd. “Project 2025“, il progetto ideato dall’intellighenzia repubblicana della Heritage Foundation e che si prefigge di far accentrare tutti i poteri nella sola figura del Presidente, trasformando l’impianto federale e democratico degli USA dalle radici, finanche giungendo a prevedere quella che sarebbe di fatto un’occupazione militare dei posti di comando (il documento prevede che certe figure pubbliche assunte meritocraticamente dovrebbero essere rimpiazzate con persone fedeli al Presidente) – per conoscere meglio questo assurdo progetto vi rinvio a Wired Italia e a Snopes.

L’eventuale attuazione di Project 2025 prevede un massiccio uso della tecnologia (basti pensare che partner tecnologico del progetto sarebbe addirittura Oracle e il cofondatore, Larry Ellison è apertamente trumpiano e non ha avvertito il bisogno di congratularsi pubblicamente con il vincitore): qui potrebbe entrare in gioco proprio Musk, proprietario di diverse realtà ipertecnologiche come Space X, Neuralink, Tesla.

Manco a dirlo, Space X sembra destinata a diventare una sorta di NASA ombra poiché ormai gode del know-how nel settore e di tutta una serie di contratti (capestro) con il governo che ne fanno l’azienda aerospaziale numero uno al mondo – con buona pace delle concorrenti Blue Origin (di Bezos) e Virgin (di Richard Branson). Andare a braccetto con il Presidente regalerà a Musk la possibilità di accelerare lo sviluppo del suo sogno proibito: colonizzare Marte con le sue tecnologie e, perciò, moltiplicare il già ingente patrimonio stimato in 290 miliardi di dollari (fonte: Bloomberg).

Tesla si è appena lanciata nello sviluppo e produzione dei primi androidi antropomorfi, i Tesla Optimus, che a detta di Musk sono androidi in grado di far tutto.

Quasi certamente Musk inizierà presto a corteggiare i proprietari delle fabbriche per convincerli a rimpiazzare parte della forza lavoro umana con i suoi robot per destinarli all’espletamento dei compiti più gravosi; successivamente potrebbe convincere i vertici militari (col placet del Presidente praticamente plenipotenziario) ad acquistare legioni di androidi per l’impiego nei campi di battaglia in cui gli USA operano o opereranno – magari non come militari armati ma come muli da soma per il trasporto di pesanti attrezzature alle spalle della prima linea di soldati. Considerato il fatto che all’evento “We, Robot” del mese scorso si è capitato che gli Optimus devono ancora essere guidati da un umano e non sono del tutto autonomi, magari sembrerà un’ipotesi da fantascienza però un giorno Musk potrebbe convincere le forze armate che questi androidi potrebbero diventare avatar di soldati che li teleguiderebbero a distanza attraverso l’impianto di chip Neuralink. Gli stessi androidi, infine, potrebbero rappresentare l’avanguardia della colonizzazione di Marte: prima che l’uomo possa metterci piede, infatti, è necessario che si costruiscano le infrastrutture abitative e si predispongano i servizi essenziali a sostenere la vita umana; pertanto gli Optimus di Tesla potrebbero essere i primi abitanti del pianeta (se escludiamo gli attuali rover delle agenzie spaziali), impiegati come schiavi costretti a creare il nuovo ambiente per il padrone umano. A quel punto sarebbe pure legittimo attendersi che uno di quelli ritorni un filino arrabbiato e venga a dirci “Ho visto cose che voi umani nemmeno potete immaginare“.

da “Blade Runner”

 

Infine, il fatto che le vetture Tesla possano un giorno diventare le “auto blu” del governo federale, inoltre, potrebbe non essere più un’ipotesi così remota e se lo diventeranno, questo non accadrà per un puro spirito ecologista. Musk sta per diventare ancora più ricco ma soprattutto sta per diventare una figura pericolosa per gli equilibri mondiali.

Elon ha la capacità e il carisma di sedersi al tavolo con i capi di stato e intortarli per benino al solo scopo di potare acqua al suo mulino: loro ascoltano meravigliati…

Elon Musk e Giorgia Meloni

 

Elon Musk e Javier Milei

 

Elon Musk e Benjamin Netanyahu

 

… e lui parla di innovazione tecnologica, intelligenza artificiale, investimenti nei rispettivi paesi con ricadute positive sui livelli occupazionali.

In parole povere, Elon Musk è il pontiere di Trump ossia colui che sta costruendo una fitta rete di alleanze con i governi smaccatamente di destra e più vicini alle posizioni trumpiane ma soltanto con lo scopo di goderne lui in prima persona anziché lo stesso Trump (e da qui si capisce molto del “Grazie Elon” al discorso di ringraziamento).

Con Musk di fatto inserito nella nuova amministrazione, gli USA si apprestano a diventare una superpotenza tecnologica corazzata da uno spesso strato protezionistico, che mira a ridimensionare lo strapotere acquisito nel frattempo dai cinesi: gli USA mireranno a rendersi indipendenti dai componenti elettronici e dalle tecnologie prodotte in Cina o Taiwan e metteranno al bando tutte quelle tecnologie cinesi che il governo, per un motivo o per un altro, riterrà pericolose per la sicurezza del territorio americano – vedi ciò che è successo con il ban di TikTok e Huawei. Trump, tuttavia, non vuole assumere una posizione rigida nei confronti del governo cinese per una serie di questioni di opportunismo politico, sebbene sia chiara la volontà di fissare dei paletti e mantenere comunque un atteggiamento di rispettosa diffidenza.

In tutto ciò saremo noi Europei a patire maggiormente gli sconvolgimenti che potrebbero verificarsi da qui a pochi mesi: se da un lato il nostro export potrebbe andare in sofferenza per l’introduzione degli annunciati dazi doganali, dall’altro aspettiamoci l’aumento dei prezzi dei servizi tecnologici americani e cinesi – per ragioni diverse: i primi perché profitteranno di posizioni dominanti in certi settori, i secondi perché potrebbero scaricare sugli europei i mancati introiti derivanti dal mercato americano. Potremmo anche registrare una riduzione nelle forniture di certi beni da oltreoceano e, in particolar modo, di computer e telefoni di origine americana ma che si servono di componentistica cinese perché, come anticipato, i produttori potrebbero essere costretti a riorganizzare la produzione nel territorio USA ove la manodopera è più cara e le linee di produzione non sono così avanzate come quelle di Taiwan, richedendo, quindi, un ovvio aggiornamento tecnologico. Sono tutti costi e ritardi che rischiamo di scontare noi cittadini europei a causa del totale assoggettamento tecnico tanto agli USA quanto alla Cina.

Il ritrono di Trump alla Casa Bianca, inoltre, potrebbe allontanare ulteriormente la nascita di un nuovo Privacy Shield: l’accordo che disciplinava il trattamento dei dati personali dei cittadini europei presso aziende statunitensi non è mai venuto in essere efficacemente dopo la disapplicazione del “Privacy Shield II” quale conseguenza della sentenza della Corte di Giustizia Europea nota come “Schrems II“. La terza incarnazione dell’accordo stava per raggiungere il traguardo quando una prima analisi del testo ha evidenziato come il governo USA si riservasse ancora un’ampia discrezionalità d’accesso ai dati personali degli europei in nome della sacrosanta protezione della homeland, il territorio nazionale. Grazie a quella,  il governo USA si riservava la facoltà di accedere indiscriminatamente ai dati degli europei raccolti dalle aziende USA al fine di individuare persone che potessero rappresentare un rischio per l’integrità degli Stati Uniti ma una simile impostazione è palesemente in contrasto con i principi imposti dal GDPR, per il quale il trattamento dei dati deve avere una durata precisa, una finalità precisa, un’accountability ben definita. Questa difformità di visione rappresentava un grosso ostacolo all’accordo e con Trump – quasi certamente – l’ostacolo crescerà ulteriormente perché nel motto “Make America Great Again” è contemplato il principio di tutela della nazione a ogni costo e, perciò, anche al costo di invadere il diritto alla privacy delle persone (che siano o meno cittadini USA).

Temo che in un futuro non molto distante la sorveglianza di massa a scopo preventivo (teorizzata da esperti come Bruce Schneier, membro del Board di Tor, crittoanalista e ideatore degli algoritmi di cifratura BlowFishTwoFish) dilagherà negli USA e le libertà individuali subiranno impercettibili ma continue e progressive compressioni, in particolar modo per specifiche categorie di persone che una qualche intelligenza artificiale potrebbe contribuire a identificare e qualificare attraverso l’analisi di enormi quantità di dati provenienti da diverse fonti – finendo così per classificare le persone per credo religioso, orientamento sessuale, preferenze politiche, dissenso con l’attuale governo, e quant’altro una persona preferirebbe mantenere informazione riservata.

Il prossimo presidente degli USA sarà Elon Musk: non potendo candidarsi perché nato in sudafrica, userà Trump come una marionetta e insieme agli altri governanti suoi amici riuscirà a influenzare la geopolitica dell’intero pianeta. E noi non siamo solo che spettatori in attesa che il nuovo padrone prenda una decisione sul nostro destino.