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#Socialpocalypse – perché i grandi social traballano mentre #Mastodon cresce?

Poco meno di dieci giorni: questo è l’arco di tempo in cui dagli Stati Uniti sono giunte notizie poco rassicuranti sul destino dei grandi social network che usiamo quotidianamente. Quasi nello stesso giorno, Elon Musk ha licenziato circa il 50% dei dipendenti di Twitter (qualcosa come 3.000 persone) e Meta ha annunciato il licenziamento di 11.000 dipendenti. Un vero scossone ma con radici diverse per ciascuna delle due aziende: nel caso di Meta è stato lo stesso Zuckerberg a scrivere ai propri dipendenti e assumersi la responsabilità, additando l’eccessivo ottimismo riposto nel “grande progetto del metaverso”, avviato ma tristemente inutilizzato, che ha portato a bruciare circa dieci miliardi di dollari; per Twittere, invece, tutto riconduce al carattere quirky del nuovo proprietario che, appena preso il comando dell’azienda, ha iniziato a fare delle scelte immediatamente disastrose.

Elon Musk sarà pure un genio visionario con il fiuto per gli affari ma non è certamente un buon manager (e ciò è dimostrato da alcune sue aziende perennemente in perdita). Ricapitoliamo cosa ha fatto o detto in nemmeno dieci giorni:

  • licenzia in tronco circa 3.000 lavoratori di Twitter, azzera il team per il fact-checking e riduce a tre unità quello per la conformità alle linee guida ONU per il rispetto dei diritti umani;
  • dopo 48 ore esatte, richiama in servizio alcune centinaia di quei lavoratori perché “licenziati per errore” – in realtà si trattava di figure non sostituibili per la delicatezza delle mansioni;
  • parecchi dei richiamati in servizio decidono di non tornare in azienda;
  • Musk licenzia 24 fra dirigenti e dipendenti che hanno espresso solidarietà ai lavoratori licenziati;
  • Musk inizia a twittare dettagli del suo operato e annuncia che ha ordinato di spegnere oltre mille microservizi che rallentavano Twitter pur essendo inutili;
  • uno di quei microservizi si occupava di inviare l’SMS con il codice OTP per l’autenticazione a doppio fattore: parecchi utenti non hanno potuto effettuare il login mentre altri, a scopo precauzionale, hanno disattivato l’autenticazione 2FA;
  • Musk twitta ancora per scusarsi per la lentezza di Twitter e accusa ancora i microservizi: uno degli sviluppatori dell’app per Android lo corregge e gli spiega perché la colpevole principale è la rete di Twitter, troppo lenta a rispondere alle richieste dell’applicazione, nonché l’accumulo di un debito tecnologico non indifferente (Twitter gira su CentOS 7). Manco a dirlo, Musk licenzia il programmatore in diretta;
  • nel frattempo, prende il via il programma Twitter Blue che consente a chiunque di acquistare la coccardina da account verificato per otto dollari la mese, mentre prima veniva concessa da Twitter solo a VIP e istituzioni dopo opportune verifiche. Ne approfitta uno sconosciuto che crea un profilo fake di Eli Lilly, l’azienda leader nella produzione di insulina, e annuncia che da quel momento l’insulina sarebbe stata gratis per chiunque, ovunque nel mondo. Eli Lilly, la vera azienda, perde 14 miliardi di dollari in Borsa. Twitter Blue non viene sospeso ma Musk annuncia che vi saranno delle modifiche: l’aggiunta di un’etichetta grigia “Ufficiale” sotto il nome degli account verificati-verificati (quelli che la spunta blu l’avevano guadagnata sul campo);
  • La politica del free speech che Musk vorrebbe imporre in Twitter (meno controlli e meno moderazione significa un incremento di post contenenti odio, fake news, comportamenti tossici) spaventa gli inserzionisti e molte grosse aziende tolgono le loro pubblicità dalla piattaforma;
  • improvvisamente si dimettono in blocco alcuni dirigenti che in Twitter si occupavano di privacy e compliance aziendale: la linea dura di Musk non è piaciuta e ora tocca agli ingegneri superstiti autocertificare la conformità dell’azienda alle direttive della FTC (nel bel mezzo di un’ispezione da questa condotta);
  • Musk, mentre annuncia la chiusura degli uffici fino al 21 novembre, pone un ultimatum invitando tutti i dipendenti ancora in servizio a presentarsi in sede entro le 17 di mercoledì 16 novembre; chi non si fosse presentato, si sarebbe dovuto considerare licenziato con 90 giorni di preavviso. Musk ha chiesto tutti al lavoro in sede, niente più remote working, orari più rigidi ma solo alcuni dipendenti hanno accettato e qualcuno è giunto a San Francisco in aereo dall’altra parte del mondo. Tuttavia, l’ultimatum non ha prodotto l’effetto sperato da Musk;
  • Twitter inizia a funzionare a intermittenza, a volte con errori, e un ex ingegnere spiega che vi sono i segni del decadimento del sistema
  • Trapela una mail di Musk a tutti i programmatori di Twitter: li invita a presentarsi al decimo piano della sede per rendere conto di come le loro porzioni di codice abbiano apportato benefici a Twitter negli ultimi sei mesi – resoconto da anticiparsi via mail allo stesso Musk con massimo dieci screenshot delle porzioni di codice più importanti. Pare che in pochi abbiano risposto mentre si registra un nuovo esodo di massa da Twitter a Mastodon (che ora conta più di 7 milioni di account).

Se non è questa la cronaca di una morte annunciata, allora ditemi voi.

Facebook e Twitter soffrono più o meno degli stessi problemi: difficoltà a monetizzare i contenuti e tossicità degli ambienti. Entrambe le piattaforme non sono nate con lo scopo esplicito di generare introiti dal loro utilizzo poiché lo spirito originario era ben diverso da quello attuale. Il punto di svolta è il momento in cui alle aziende è stata data la possibilità di fare pubblicità con le inserzioni e i tweet sponsorizzati. Per carità, tutto ciò è perfettamente lecito ma i due social sono state indotte a mutare i loro algoritmi in modo da mostrare post e tweet in “ordine di importanza” e non cronologico, ove l’importanza viene calcolata su diversi fattori e – non ultimo – l’interesse delle aziende inserzioniste. La modifica degli algoritmi, poi, ha anche contribuito all’avvelenamento degli ambienti e alla polarizzazione degli utenti, bubbone esploso violentemente ai tempi della Brexit e dell’elezione di Donald Trump a Presidente degli U.S.A.

Facebook sicuramente è, dei due, il social che ha maggiormente risentito dello scandalo Cambridge Analytica, al punto che, messo sotto inchiesta su entrambe le sponde dell’oceano Atlantico, con evidenti problemi di liquidità in Facebook, con un prodotto che iniziava a non crescere più, Zuckerberg ha pensato di lanciare l’arma di distrazione di massa che è quel favolistico Metaverso, associandolo anche al rebranding dell’azienda da Facebook a Meta. Risultato: Facebook non attira più, il Metaverso non decolla e nemmeno i dipendenti Meta lo usano. L’inizio della fine di Google+ fu identico: in Google i dipendenti preferivano stare sul concorrente Facebook e non sul proprio social network.

Twitter, oltre ai problemi finanziari e di gestione dei contenuti (che Musk vorrebbe meno censurati), deve subire anche le bizze del nuovo proprietario. Musk si rende conto di aver pagato troppo un’azienda che vale meno della metà; a ciò si aggiunga anche che nella cordata figurano sceicchi e banchieri da paesi con cui il governo USA ha rapporti tiepidi, e vi è persino BInance la più grande piattaforma di scambio di criptovalute. Quest’ultima, però, dopo lo scandalo dell’altra piattaforma FTX, viene definita come una bomba a orologeria pronta a scoppiare e vaporizzare l’intero mercato delle criptovalute. Risultato: gli utenti stanno lasciando Twitter e si rifugiano in massa su Mastodon.

L’esplosione di Mastodon: clicca per ingrandire.

Perché proprio Mastodon?

Perché è un anti-social, è l’esatto contrario di Twitter e Facebook. Mastodon non è governato da un algoritmo: i post appaiono solo e semplicemente in ordine cronologico, senza nessuna forma di bias legata a reconditi interessi economici.

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Mastodon non è che un’applicazione del cosiddetto “fediverso“, un universo federato in cui migliaia di server (o “istanze“) comunicano tra loro attraverso il protocollo ActivityPub. Già questa è la prima differenza fra i due mondi: Twitter e Facebook funzionano grazie a server centralizzati e gestiti dalle rispettive aziende, mentre in Mastodon ogni istanza ha un amministratore che gestisce l’istanza e ne modera i contenuti – su Mastodon la moderazione è effettiva e non all’acqua di rose come negli altri due social, poiché anche in questo caso la gestione è affidata alle operazioni di un essere umano e non a un freddo software, spesso inefficace e fallace.

Per rendere meglio l’idea possiamo paragonare ogni istanza Mastodon a un condominio: c’è un amministratore (che governa e rappresenta lo stabile), ci sono i capiscala (i moderatori che aiutano l’amministratore nella gestione dell’istanza) e ci sono i condomini (gli utenti iscritti all’istanza). È interesse di tutti che la vita nel condominio (virtuale) sia basata sulla pacifica convivenza e, pertanto, l’amministratore fa di tutto per impedire che l’ambiente s’intossichi e può stabilire di limitare o bloccare gli utenti nocivi; allo stesso modo, l’amministratore può impedire che la propria istanza rimanga federata a istanze ritenute tossiche o non pertinenti – i singoli utenti dell’istanza “X” possono ancora raggiungere individualmente gli utenti iscritti all’istanza bannata ma i loro toot non appariranno nell’elenco dei toot (detta Timeline federata) globale che appare agli iscritti dell’istanza “X”.

Mastodon, in parole povere, è concepito per non favorire la condivisione virale: fondamentalmente è questa la causa della tossicità di tutti gli altri social network. Mastodon va in direzione nettamente opposta: non fa di tutto per spingere un dato argomento o un certo post, anzi ha un approccio del tutto olistico e lascia che siano gli iscritti a dare importanza a un post con una condivisione “flat”, cioè non vedrete mai post come “Tizio ha condiviso…” oppure “A Caio è piaciuto questo…”. Una condivisione pura e semplice, senza dar peso al numero delle stesse condivisioni o dei like – appunto, non esiste un algoritmo che si occupi di questo.

Su Mastodon non esiste un elenco di trending topics sapientemente spinti dall’algoritmo (per numero di tweet o condivisioni, oppure per pagamento di una sponsorizzazione): solo accedendo al proprio profilo dal browser si possono trovare due o tre hashtag di cui numerose persone stanno discutendo ma solo se il numero di toot con detto hashtag supera una certa soglia; non troverete un elenco di argomenti idioti che (soprattutto nel Twitter italiano) seguono il palinsesto delle reti televisive (alle 14 si parla di “Amici” o “Uomini e Donne”, alle 22 del lunedì e del giovedì si parla di “Grande Fratello”, ecc…)

Chi arriva da social come Twitter o Facebook trova Mastodon diverso, a tratti noioso, ma la colpa non è di Mastodon: i due big ci hanno abituato male e ci hanno calato in una realtà fittizia, una bolla manipolata secondo gli interessi di agenti esterni, una condizione che ci è stata fatta passare per normale mentre tutto era meno che normale. La normalità è su Mastodon, invece. Là si tenta di replicare le relazioni umane come avverrebbero nella realtà: mi iscrivo a un’istanza tematica perché è come partecipare a un convegno con i colleghi di lavoro, seguo una certa persona (anche di un’istanza diversa) perché ne condivido gli interessi o gli ideali, e nessun algoritmo mi dice che dovrei seguire questo o quell’utente perché è già amico di un mio amico sui social. No. Con Mastodon stiamo facendo un passo indietro e la persona sta tornando centrale nelle relazioni online ed era anche l’ora che accadesse.

  1. su Mastodon (joinmastodon.org) c’è un lungo elenco di istanze tra cui scegliere per l’iscrizione iniziale (su To the Fediverse! c’è un elenco ancora più ampio); il consiglio è quello creare il proprio account su un’istanza in cui ci si identifica per l’argomento o su un’istanza generalista piccola: Mastodon.uno è l’istanza generalista italiana più grande e affollata e nelle ultime ore fatica a reggere l’enorme migrazione da Twitter (anche se stanno procedendo alla sostituzione dei server con costi di un certo rilievo). Io ho scelto di iscrivermi in mastodon.opencloud.lu, istanza lussemburghese gestita da un italiano con pochi iscritti e, quindi, molto reattiva anche in questo periodo di passaggio;
  2. scordatevi di essere su Twitter o Facebook: su Mastodon gli atteggia

    Piccola guida per chi vuole provare a entrare su Mastodon.

    menti narcisistici portano immediatamente a soluzioni drastiche – ripeto: è interesse di tutti vivere in una comunità alla pari. Una sorta di “uno vale uno” realizzato seriamente e con criterio;

  3. in Mastodon troverete tre livelli di esplorazione dei toot, organizzati in tre timeline diverse: home, composta dai toot vostri e da quelli generati dalle persone che avete scelto di seguire; locale, contenente i toot generati dagli utenti iscritti alla vostra stessa istanza (ecco perché è fondamentale la scelta iniziale); federazione (o globale), raccoglie i toot di tutti gli utenti della federazione, fatta eccezione per quelli iscritti alle istanze bannate dal vostro server (e può capitare, in effetti);
  4. se giungete da Twitter, soprattutto, scordatevi di usare un bot per esportare su Mastodon tweet e retweet in modalità “brainless“: questa pratica è fortemente osteggiata e si rischia di restare isolati e ignorati – sempre per il principio per cui nel Fediverso contano soltanto le interazioni umane reali, non i post automatizzati, né le sequele di post autocelebrativi (“io faccio questo e quello e sono il migliore”, per esempio);
  5. tutte le istanze sono autogestite: se esiste un dato server, esiste solo perché il proprietario sta pagando col proprio denaro l’acquisto del server, la connessione, le tariffe per l’invio delle e-mail di conferma delle iscrizioni, la manutenzione tecnica (il software è open source, invece). È buona norma contribuire alle spese del server nel quale il nostro account è iscritto quindi informatevi presso il gestore su come poter inviare un piccolo (ma importante) contributo in denaro: gli altri social sono gratuiti solo in apparenza ma abbiamo pagato con i nostri dati personali e subendo pure degli annunci pubblicitari invasivi. A questo punto è meglio donare a un privato che ci offre un servizio gratuito in tutto e per tutto.

La prossima settimana scriverò di alcuni aspetti del Fediverso in ottica GDPR, poiché iniziano a sorgere i primi dubbi sul trattamento dei dati personali da parte dei gestori delle istanze.

Su Mastodon mi trovate qui: https://mastodon.opencloud.lu/@matteoriso.

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