Poco meno di dieci giorni: questo è l’arco di tempo in cui dagli Stati Uniti sono giunte notizie poco rassicuranti sul destino dei grandi social network che usiamo quotidianamente. Quasi nello stesso giorno, Elon Musk ha licenziato circa il 50% dei dipendenti di Twitter (qualcosa come 3.000 persone) e Meta ha annunciato il licenziamento di 11.000 dipendenti. Un vero scossone ma con radici diverse per ciascuna delle due aziende: nel caso di Meta è stato lo stesso Zuckerberg a scrivere ai propri dipendenti e assumersi la responsabilità , additando l’eccessivo ottimismo riposto nel “grande progetto del metaverso”, avviato ma tristemente inutilizzato, che ha portato a bruciare circa dieci miliardi di dollari; per Twittere, invece, tutto riconduce al carattere quirky del nuovo proprietario che, appena preso il comando dell’azienda, ha iniziato a fare delle scelte immediatamente disastrose.
Elon Musk sarà pure un genio visionario con il fiuto per gli affari ma non è certamente un buon manager (e ciò è dimostrato da alcune sue aziende perennemente in perdita). Ricapitoliamo cosa ha fatto o detto in nemmeno dieci giorni:
Se non è questa la cronaca di una morte annunciata, allora ditemi voi.
Facebook e Twitter soffrono più o meno degli stessi problemi: difficoltà a monetizzare i contenuti e tossicità degli ambienti. Entrambe le piattaforme non sono nate con lo scopo esplicito di generare introiti dal loro utilizzo poiché lo spirito originario era ben diverso da quello attuale. Il punto di svolta è il momento in cui alle aziende è stata data la possibilità di fare pubblicità con le inserzioni e i tweet sponsorizzati. Per carità , tutto ciò è perfettamente lecito ma i due social sono state indotte a mutare i loro algoritmi in modo da mostrare post e tweet in “ordine di importanza” e non cronologico, ove l’importanza viene calcolata su diversi fattori e – non ultimo – l’interesse delle aziende inserzioniste. La modifica degli algoritmi, poi, ha anche contribuito all’avvelenamento degli ambienti e alla polarizzazione degli utenti, bubbone esploso violentemente ai tempi della Brexit e dell’elezione di Donald Trump a Presidente degli U.S.A.
Facebook sicuramente è, dei due, il social che ha maggiormente risentito dello scandalo Cambridge Analytica, al punto che, messo sotto inchiesta su entrambe le sponde dell’oceano Atlantico, con evidenti problemi di liquidità in Facebook, con un prodotto che iniziava a non crescere più, Zuckerberg ha pensato di lanciare l’arma di distrazione di massa che è quel favolistico Metaverso, associandolo anche al rebranding dell’azienda da Facebook a Meta. Risultato: Facebook non attira più, il Metaverso non decolla e nemmeno i dipendenti Meta lo usano. L’inizio della fine di Google+ fu identico: in Google i dipendenti preferivano stare sul concorrente Facebook e non sul proprio social network.
Twitter, oltre ai problemi finanziari e di gestione dei contenuti (che Musk vorrebbe meno censurati), deve subire anche le bizze del nuovo proprietario. Musk si rende conto di aver pagato troppo un’azienda che vale meno della metà ; a ciò si aggiunga anche che nella cordata figurano sceicchi e banchieri da paesi con cui il governo USA ha rapporti tiepidi, e vi è persino BInance la più grande piattaforma di scambio di criptovalute. Quest’ultima, però, dopo lo scandalo dell’altra piattaforma FTX, viene definita come una bomba a orologeria pronta a scoppiare e vaporizzare l’intero mercato delle criptovalute. Risultato: gli utenti stanno lasciando Twitter e si rifugiano in massa su Mastodon.
Perché è un anti-social, è l’esatto contrario di Twitter e Facebook. Mastodon non è governato da un algoritmo: i post appaiono solo e semplicemente in ordine cronologico, senza nessuna forma di bias legata a reconditi interessi economici.
Mastodon non è che un’applicazione del cosiddetto “fediverso“, un universo federato in cui migliaia di server (o “istanze“) comunicano tra loro attraverso il protocollo ActivityPub. Già questa è la prima differenza fra i due mondi: Twitter e Facebook funzionano grazie a server centralizzati e gestiti dalle rispettive aziende, mentre in Mastodon ogni istanza ha un amministratore che gestisce l’istanza e ne modera i contenuti – su Mastodon la moderazione è effettiva e non all’acqua di rose come negli altri due social, poiché anche in questo caso la gestione è affidata alle operazioni di un essere umano e non a un freddo software, spesso inefficace e fallace.
Per rendere meglio l’idea possiamo paragonare ogni istanza Mastodon a un condominio: c’è un amministratore (che governa e rappresenta lo stabile), ci sono i capiscala (i moderatori che aiutano l’amministratore nella gestione dell’istanza) e ci sono i condomini (gli utenti iscritti all’istanza). È interesse di tutti che la vita nel condominio (virtuale) sia basata sulla pacifica convivenza e, pertanto, l’amministratore fa di tutto per impedire che l’ambiente s’intossichi e può stabilire di limitare o bloccare gli utenti nocivi; allo stesso modo, l’amministratore può impedire che la propria istanza rimanga federata a istanze ritenute tossiche o non pertinenti – i singoli utenti dell’istanza “X” possono ancora raggiungere individualmente gli utenti iscritti all’istanza bannata ma i loro toot non appariranno nell’elenco dei toot (detta Timeline federata) globale che appare agli iscritti dell’istanza “X”.
Mastodon, in parole povere, è concepito per non favorire la condivisione virale: fondamentalmente è questa la causa della tossicità di tutti gli altri social network. Mastodon va in direzione nettamente opposta: non fa di tutto per spingere un dato argomento o un certo post, anzi ha un approccio del tutto olistico e lascia che siano gli iscritti a dare importanza a un post con una condivisione “flat”, cioè non vedrete mai post come “Tizio ha condiviso…” oppure “A Caio è piaciuto questo…”. Una condivisione pura e semplice, senza dar peso al numero delle stesse condivisioni o dei like – appunto, non esiste un algoritmo che si occupi di questo.
Su Mastodon non esiste un elenco di trending topics sapientemente spinti dall’algoritmo (per numero di tweet o condivisioni, oppure per pagamento di una sponsorizzazione): solo accedendo al proprio profilo dal browser si possono trovare due o tre hashtag di cui numerose persone stanno discutendo ma solo se il numero di toot con detto hashtag supera una certa soglia; non troverete un elenco di argomenti idioti che (soprattutto nel Twitter italiano) seguono il palinsesto delle reti televisive (alle 14 si parla di “Amici” o “Uomini e Donne”, alle 22 del lunedì e del giovedì si parla di “Grande Fratello”, ecc…)
Chi arriva da social come Twitter o Facebook trova Mastodon diverso, a tratti noioso, ma la colpa non è di Mastodon: i due big ci hanno abituato male e ci hanno calato in una realtà fittizia, una bolla manipolata secondo gli interessi di agenti esterni, una condizione che ci è stata fatta passare per normale mentre tutto era meno che normale. La normalità è su Mastodon, invece. Là si tenta di replicare le relazioni umane come avverrebbero nella realtà : mi iscrivo a un’istanza tematica perché è come partecipare a un convegno con i colleghi di lavoro, seguo una certa persona (anche di un’istanza diversa) perché ne condivido gli interessi o gli ideali, e nessun algoritmo mi dice che dovrei seguire questo o quell’utente perché è già  amico di un mio amico sui social. No. Con Mastodon stiamo facendo un passo indietro e la persona sta tornando centrale nelle relazioni online ed era anche l’ora che accadesse.
menti narcisistici portano immediatamente a soluzioni drastiche – ripeto: è interesse di tutti vivere in una comunità  alla pari. Una sorta di “uno vale uno” realizzato seriamente e con criterio;
La prossima settimana scriverò di alcuni aspetti del Fediverso in ottica GDPR, poiché iniziano a sorgere i primi dubbi sul trattamento dei dati personali da parte dei gestori delle istanze.
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