Nel gennaio del 1983 un mio cugino a conoscenza della mia incipiente passione per l’informatica, una “cosa” che a quei tempi stava diffendosi sempre più, mi portò al cinema per vedere un film chiamato “Tron“. Quel film raccontava di un geniale programmatore che viene catturato nel mondo digitale e lì inizia ad aiutare il protagonista – Tron, appunto – a liberare la “Rete” e i programmi dall’oppressione del Master Control Program. Quell’idea semplice e quasi banale di vedere un film che parla (a modo suo) di computer e propgrammi, mi indusse ad appassionarmi ancora di più all’informatica, alla programmazione e quant’altro.
Crescendo ho atteso invano un sequel che nessuno sembrava voler produrre perché sebbene “Tron” fosse ormai un film cult, al botteghino non rese come sperato; d’altronde la stessa Disney non si mostrò fiduciosa verso quella sceneggiatura, al punto di far pubblicare e distribuire il film a una società sua sussidiaria, la “Buena Vista International”. Tron, dunque, non venne benedetto dal marchio Disney ma all’interno della pellicola vi erano numerosi easter egg che legavano quel prodotto alla casa madre.

Nel 2010, quasi all’improvviso, venne annunciato “Tron:Legacy” al Comic-Con di San Diego. Rilasciarono un teaser che mostrava la nuova estetica della rete e l’effetto “wow” è stato immediato; poi sono andato a vederlo al cinema in 3D e sono uscito frastornato dal sapiente mix di effetti speciali e colonna sonora creato per l’occasione. La colonna sonora dei Daft Punk ha toccato le più alte vette della musica per il cinema e tutt’oggi resta un esempio di perfetta fusione con il materiale girato. La storia aveva dei buchi qua e là ma nel suo piccolo funzionava e per i fan è stato un enorme piacere riscoprire il mondo di Tron. L’estetica di Tron:Legacy è entrata di diritto nella storia della cinematografia moderna, stabilendo nuovi canoni di design che nemmeno i più recenti cinecomics della Marvel sono riusciti a imitare. Al botteghino incassò globalmente 400 milioni di dollari globalmente, andando a coprire a stento i costi di produzione e distribuzione, un po’ come successo per il film originale ma in questo caso Disney ci aveva messo marchio e faccia.
Nel 2024, anche stavolta quasi all’improvviso, venne annunciata la messa in produzione di un nuovo film di Tron, preannunciando Jared Leto come protagonista e la totale assenza del cast del 2010. A queste premesse e a distanza di altri 15 anni era lecito non farsi delle aspettative di un certo livello sul prodotto finale. Non potendo perdermi alcun film della saga, sono andato a vederlo al cinema (con mia figlia di 8 anni),
E’ migliore di Tron (1982)? Forse e soprattutto perché in mezzo ci sono 43 anni di cinematografia.
E’ migliore di Tron:Legacy? Decisamente no.
ATTENZIONE! ci sono degli spoiler: proseguite la lettura a vostro rischio e pericolo oppure saltate qui.
La trama.
Tron:Ares si ricollega più al primo Tron che non a Tron:Legacy e già nei primi cinque minuti la famiglia Flynn viene letteralmente scacciata a pedate laddove si introducono le nuove sorelle proprietarie della ENCOM, Eve e Tessa Kim, le quali hanno acquistato le quote che “Sam Flynn ha venduto per motivi personali“. Scopriamo che la ENCOM ha un’azienda concorrente spietata, la Dillinger Systems, fondata dal vecchio Ed Dillinger e adesso gestito dall’unico figlio dell’unica figlia di Dillinger (sì, per cognome hanno tutti Dillinger). Qui mi sono chiesto quando la Dillinger Systems è stata fondata dal nonno, quando in Tron:Legacy il figlio di Dillinger era nel board della ENCOM e aveva contribuito a creare il sistema operativo ENCOM-OS.
Evidentemente né lo sceneggiatore né il regista hanno tenuto questo microscopico dettaglio per dare continuità alla trama. Ci ritroviamo perciò una Evil Company come la Dillinger Systems guidata da un ragazzino viziato degno di sonore sculacciate da parte della mamma (Gillian Anderson), anche lei alla guida dell’azienda ereditata dal padre. Il ragazzotto ha sviluppato un sistema che permette di stampare soldati e veicoli militari digitali prelevandoli direttamente dal “Grid” (perché continuare a chiamarla “Rete” in italiano sembrava brutto). Dunque se Flynn veniva scansionato e digitalizzato per trasportarlo all’interno di un sistema informatico, qui avviene l’esatto contrario. La presentazione del prodotto ai capi dell’esercito va fin troppo bene, salvo la piccola omissione fatta dal furfantello: i prodotti creati durano appena 29 minuti, dopodiché si autodistruggono.
Il giovane Dillinger sa (e non si capisce come sia in possesso di quest’informazione) che Flynn aveva nascosto una stringa di codice che risolve il timeout di 29 minuti. Il film non ci spiega la certezza di Dillinger e il suo accanimento verso la ENCOM che – per ovvie ragioni – deve avere quel codice da qualche parte. Qui lo sceneggiatore avrebbe ben potuto inserire un riferimento diretto alle ISO scoperte da Flynn nel film del 2010: quelle erano “il miracolo che avrebbe cambiato tutto: scienza, medicina, religione, filosofia“. D’altronde anche Quorra alla fine del film è giunta nel mondo reale però di lei non si è saputo più nulla e, invece, l’avrebbero potuta sfruttare (anche a livello di introduzione) come sorgente del codice ricercato da Dillinger.
Alla guida dell’esercito digitale di Dillinger c’è Ares, un programma dotato di intelligenza artificiale che inizia a deviare dall’esecuzione del suo programma quando dopo la presentazione coi militari vede prima la pioggia r poi lucciole. Memore di questi incontri, dopo l’ennesima rigenerazione nel Grid inizia a rielaborare la frase detta dal capo, ossia che se uno di questisoldati muore basta soltanto rigenerarlo. Ares, perciò, inizia a mostrare i prim segni di insofferenza verso gli ordini impartiti da Dillinger.
Nel frattempo Eve Kim, raggiunto l’eremo tecnologico creato dalla compianta sorella Tessa, rimette in funzione i sistemi che furono di Kevin Flynn e scartabella tra i floppy disk (da 5 pollici e un quarto) alla ricerca del famigerato “Codice Permanence“. Lo trova e riesce a generare un albero di arance che sopravvive al timeout di 29 minuti. La donna decide di portare il codice in un disco potatile USB verso la ENCOM, proprio mentre l’azienda è impegnata in un affollatissimo evento (a-la-Apple) per il lancio della nuova versione di “Space Paranoids“, il videogioco più famoso partorito dalla mente di Flynn.
Nel buio del suo ufficio, intanto, Dillinger usa Ares per bucare (letteralmente) la rete ENCOM e scoprire se il codice ricercato è lì. Bucata la rete, riesce anche a intercettare la prima chiamata dopo molto tempo che la Kim fa ai suoi assistenti che, dal canto loro, la informano della violazione di sicurezza che ha fatto saltare l’evento. Dillinger, quindi, si serve della sua stessa tecnologia per generare Ares nel mondo reale e lo fa acompagnare da Athena, una seconda soldatessa digitale, affinché intercettino la donna e si impossessino del codice.
Dopo un lungo inseguimento Athena viene annientata e resta il solo Ares a inseguire la CEO della ENCOM. Giunti al porto, Eve si ritrova su un molo con Ares che l’affrronta; messa alle strette, decide di rompere il supporto USB e gettarlo in mare. Dillinger sente tutto ciò attraverso il suo soldato digitale e studia un modo diverso per ottenere quel codice: fornisce un laser a particelle a un suo scagnozzo e lo manda in elicottero a catturare Eve per portarla nel Grid, trasformarla in un programma munito di disco d’identità ed estrarre da lì il codice che lei ha letto quando si trovava all’eremo. Sorge un problema, però, e Ares lo fa presente a Dillinger: estrarre il codice comporterebbe la deresoluzione del portatore (leggi come: la morte). Il soldato digitale mostra un nuovo moto di ribellione verso il suo creatore, soprattutto come conseguenza dell’aver visto tutta la vita di Eve nel suo file personale mentre era infiltrato nella rete ENCOM. L’intelligenza artificiale ha appreso soprattutto il dolore della donna alla morte della sorella e, in generale, ha capito cosa sono i sentimenti che provano gli umani.
Ares decide di passare dalla parte di Eve si mette contro Athena e Dillinger: la salva e stringe un patto per cui la donna dovrebbe poi aiutarlo a sopravvivere nel mondo esterno.
Detto fatto, i due scappano nel mondo reale per raggiungere la ENCOM entro 29 minuti, Athena li insegue sempre più agguerrita e rispettosa della direttiva impartitagli (recuperare il codice senza farsi fermare da alcun impedimento), stavolta armata del laser a particelle con l’obiettivo di ricatturare la Kim.
Eve Kim e Ares raggiungono la ENCOM e con l’assistenza della CEO mettono in piedi un vecchio laser a particelle per spedire Ares nel backup del Grid di Flynn (quello del 1982), laddove avrebbe ricevuto aiuto da un amico. E chi sarà mai quest’amico? Una copia digitale di Flynn che consegna il codice Permanence – che ha la forma di una doppia elica del DNA come quello visto durante la riparazione di Quorra in Legacy.
In tutto ciò fuori succede il macello: Athena uccide la mamma di Dillinger perché la qualifica come “impedimento” dopo che la donna è corsa a fermare il figlio annunciandogli che la società lo aveva appena deposto come CEO. Incredulo e con la mamma morente tra le braccia, scopre che Athena ha bypassato ogni suo potere da ammionistratore al fine di portare nel mondo reale altri tre soldati muniti di jetpak, un tank corazzato e uno degli intercettatori più grossi di tutta la saga.
Eve corre in mezzo alla strada per distrarre Athena alla guida dell’intercettatore mentre i suoi assistenti provano ad hackerare la rete Dillinger per interrompere il collegamento tra la casa madre e i suoi oggetti in giro per il mondo reale.
Ares viene riproiettato da Flynn nel mondo reale e riappare nel laboratorio sotto l’arcinota sala giochi e… cambia colore. Non più rosso ma blu chiarissimo, il colore dei buoni, e interviene per difendere Eve. Lui ormai non soffre più del timeout mentre Athena, dopo un po’ di combattimento, si accascia tra le braccia del soldato al quale semplicemente dice di aver seguito la direttiva.
La ENCOM è salva, Ares scorazza libero nel mondo reale come un Jared Leto qualsiasi a bordo della Ducati che fu di Sam Flynn, e Dillinger se l’è svignata in quel che rimane di un Grid avviato lanciando un programma chiamato “Sark” (guarda il caso!); Dillinger scopre quel che c’è dietro il monitor e il Grid gli mette a disposizione il disco che fu di suo nonno (?). Dopo averlo sganciato, si vede il giovane assumere le vesti del Sark visto nel primo film del 1982.
Fine del film. Titoli di coda.
Il mio giudizio.
Quando sono uscito dalla sala stavolta non ho provato alcunché. Quindici anni fa, all’uscita da Legacy, avevo una voglia matta di rivedere quel film più e più volte e forse una spiegazione posso darmela qui.
Legacy era coinvolgente. La colonna sonora dei Daft Punk contribuiva a rendere immersiva ogni scena e la trama era di gran lunga più solida di questo Ares. In Legacy abbiamo ottenuto un’ottima premessa introduttiva per colmare il divario di 28 anni dal primo film e i personaggi hanno avuto un tempo sufficiente per presentarsi e far approfondire le diverse personalità allo spettatore.
Particolarmente curata, poi, l’atmosfera distopica creata dal ribelle Clu, desideroso di formare un esercito per invadere il mondo esterno e iniziare a dettare legge anche là. Clu era un vero dittatore, mandante del genocidio delle ISO – viste come un ostacolo per i suoi piani di dominio dentro e fuori la Rete – ma anche un parricida, come quel figlio ribelle che uccide il padre per usurparne il comando come illustrato in tante opere della letteratura classica greca e romana. Flynn (padre) che asceticamente vive la sua condizione di priogioniero del suo stesso programma e lascia che i microcicli scorrano e gli scivolino addosso indifferenti. Flynn diventerà il deus ex machina (sempre come accade nelle tragedie greche) che abbandonerà il suo ritiro per iniziare a reagire allo strapotere del dittatore e permettere al figlio di scappare con l’ultima ISO rimasta in vita.
Legacy al confronto con Ares ne esce come un capolavoro.
In Ares la trama è piatta e mette in scena un impianto che mi ha indotto a pensare che sarebbe bastato contattare Flynn nel suo Grid molto prima per ottenere il codice Permanence, dunque tutta la premessa di fondo è un brodino scaldato e allungatissimo solo per giustificare la durata di due ore.
Come la trama anche i personaggi sono piatti: ci appaiono sullo schermo preceduti solo da un minimo di introduzione e non si approfondisce il loro background, pertanto a stento si percepisce la psiche dei singoli. Ne risentono anche le interazioni: Ares e Eve diventano alleati dopo nemmeno 40 minuti di proiezione, diamine! Capisco che Ares è una AI e capisce velocemente le cose ma la situazione presentata è ridicola. Sarebbe stato meglio mantenere un certo livello di diffidenza tra le parti però lo sceneggiatore ha preferito tagliare tutto con l’accetta e privilegiare l’azione su schermo.
Ecco, è proprio l’azione su schermo a essere centrale in questo film: inseguimenti e combattimenti per quasi tutta la durata del film, come Mad Max:Fury Road ma senza l’intelligenza di questo (e senza la mano di George Miller). Dato che i produttori esecutivi sono i Nine Inch Nails, sembra quasi che questo film sia stato girato in funzione della colonna sonora. Bella musica, incalzante e al passo con le numerose scene d’azione, forse troppo invadente ed esplosiva a volte. Siamo un livello completamente diverso da quello dei Daft Punk in Legacy, ove la musica non era un contorno ma elemento costruttivo della scena. Ad ogni buon conto, è proprio la colonna sonora di Ares che alla fine del film ti resta nelle orecchie ma sarebbe bastato semplicemente pubblicare un album e non un mezzo film come questo.
Infine una parola sull’estetica. In Legacy abbiamo incontrato un Grid bello, lucido, con tratti minimal e avvolto nel buio tagliato solo dai colori vivaci delle tute e dei mezzi dei residenti. Non è un caso che il regista Kosinski sia architetto e sia un esperto di computer grafica in ambito pubblicitario. Basta guardare anche un altro suo film, Oblivion con Tom Cruise, ove gli ambienti interni sono realizzati con un dettaglio e una cura maniacale, nonché con un senso del gusto estetico molto alto. Al contrario in Ares vediamo poco Grid e quel poco è visiamente chiassoso, già a partire dalle tute che indossano Ares e Athena, il cui design risulta un po’ sporco e meno pulito che in Legacy.
Conclusioni.
E’ un film da vedere? Sì se si è fan della saga. Non chiede nulla e non restituisce nulla. Resta un film gradevole ma che avrebbe potuto essere ben diverso se solo avessero ripreso il finale di Legacy per ripartire da là.